Comprendere la variabilità in patologia clinica - Seconda parte
Nel precedente post vi abbiamo sintetizzato le possibili fonti di variazione dei risultati di laboratorio. Approfondiamo oggi quelle relative alla variabilità analitica, e quindi dipendente dalle performance dei metodi di laboratorio.
Ovviamente ogni strumento e metodo di misura, anche il più sofisticato, non è assolutamente perfetto ed infallibile e può essere fonte di errori analitici. I due principali tipi di errore che si studiano in patologia clinica, e si cerca di ridurre al minimo con accorgimenti tecnici particolari, sono:
- L’imprecisione ("errore random")
- Il bias o inaccuratezza
Quando parliamo di PRECISIONE ci riferiamo alla capacità dello strumento di leggere sempre la stessa misura anche quando facciamo prove ripetute sullo stesso campione.
Questo è quindi sinonimo di RIPETIBILITA’. Per comprendere meglio di cosa parliamo, farò come al solito l’esempio della bilancia che usiamo per pesarci. Immaginiamo di alzarci la mattina e di salire sulla bilancia e di leggere ad esempio il peso di 70 kg. Proviamo quindi a scendere e a ripetere diverse volte lo stesso procedimento: se la nostra bilancia continuerà a misurare 70 kg, significa che è PRECISA e RIPETIBILE, se invece le misure sono tutte differenti, significa che è IMPRECISA.
Il grado di imprecisione di ogni strumento di misura viene facilmente misurato proprio in questo modo, facendo misure multiple sullo stesso campione e calcolando un coefficiente numerico statistico (CV - coefficente di variazione), che risulterà tanto più basso quanto più è preciso lo strumento ed il metodo analitico. Questa variabilità legata all’imprecisione di uno strumento avrà quindi una influenza più o meno grande sulla variabilità di una misura di laboratorio, che sarà tanto maggiore quanto meno preciso è lo strumento utilizzato.
Figura 1. Esempio di strumento scarsamente PRECISO, quindi poco ripetibile. Ogni misura è affetta da un grado variabile di errore random. Questo tipo di errore, oltre ad essere imprevedibile, può influire molto sulla variabilità di una misura in laboratorio.
Figura 2. Esempio di strumento più PRECISO del precedente. Lo scostamento dalla reale misura target è molto meno variabile nelle varie ripetizioni.
Ma non è finita qui...c'è un altro aspetto importante da considerare. Immaginiamo infatti che il nostro peso reale non sia 70 kg (purtroppo....), bensì 80 kg.
La bilancia che ho utilizzato è sicuramente precisa se ha misurato continuamente 70 kg, ma alquanto INACCURATA, in quanto esiste uno scarto di ben 10 kg dal mio peso reale (sigh...).
L’ACCURATEZZA ANALITICA di un metodo è la capacità di misurare la vera quantità di quello che stiamo misurando, per cui una bilancia accurata avrebbe dovuto indicare il peso di 80 kg. E’ possibile che la nostra bilancia sia semplicemente starata, e come ben sapete è sufficiente il più delle volte correggere la tara per portarla al vero valore di zero, per rendere la nuova misura più vicina al reale. Se la bilancia non è effettivamente danneggiata o di scarsa qualità, questo è sufficiente per tornare a misurare accuratamente il peso. Questo è quello che viene anche fatto con gli strumenti analitici di laboratorio, allorché dopo un controllo di qualità routinario, ci si accorge di essere lontano dal valore target desiderabile ed è necessario RICALIBRARE strumento e metodica.
Figura 3. Esempio di uno strumento relativamente preciso ed accurato. Le misure sono abbastanza ripetibili e nel complesso sono molto vicine al valore reale. Questa è la situazione ideale che ogni laboratorio deve cercare di ottenere, mediante degli appositi sistemi di controllo di qualità giornalieri.
Figura 4. Esempio di uno strumento con una precisione simile al precedente, ma alquanto inaccurato in quanto le misure effettuate si scostano parecchio dal valore reale. Solitamente in questa situazione è sufficiente ricalibrare lo strumento per rimetterci in una situazione accettabile come nella figura 3.
In patologia clinica lo studio degli errori analitici (“random error” e “bias”, espressione rispettivamente di imprecisione ed inaccuratezza) è molto approfondito e dovrebbe essere ben conosciuto e controllato in ogni laboratorio.
Ad esempio, il College Europeo di Patologia Clinica (ECVCP) richiede, ai fini dell’accreditamento di un laboratorio, di fornire tutti i dati numerici relativi agli errori attesi da ogni metodica analitica utilizzata nel laboratorio, intesi come somma di Imprecisione + Inaccuratezza (Errore Totale).
Ovviamente il laboratorio deve mettere in atto tutti i metodi di controllo e correzione necessari per far si che questi errori siano i più piccoli possibili e quindi che non possano inficiare le decisioni cliniche. Facciamo a questo scopo un esempio pratico, riprendendo quando già esposto nel precedente blog introduttivo.
Immaginiamo di dover misurare la glicemia di un paziente che ha come valore reale 95 mg/dL. Se il nostro strumento, è in grado di mantenere un errore totale al di sotto del 10%, è difficile che un clinico prenda decisioni sbagliate, avendo una glicemia misurata attesa tra gli 85 mg/dL e i 105 mg/dL. Se invece il nostro strumento misurasse con un errore totale del 30%, potremmo avere risultati di glicemia molto più imprevedibili e variabili, diciamo tra i 65 mg/dL e i 125 mg/dL, il che potrebbe indurre il clinico a considerare condizioni patologiche sbagliate.
Generalmente, le misure ematologiche, biochimiche ed ormonali sono affette da valori di Errore totale abbastanza bassi (se il laboratorio ha un sistema di controllo di qualità adeguato), il che rende questi errori clinicamente irrilevanti. Ci sono tuttavia, e bisognerebbe conoscerle, metodologie in cui la variabilità analitica è maggiore (a causa di una intrinseca scarsa precisione). Vi porto l’esempio della determinazione di un titolo sierologico per la Leishmania, misurato con immuno-fluorescenza (IFI) e con ELISA quantitativa.
I due metodi sono generalmente simili come ACCURATEZZA DIAGNOSTICA (attenzione, questa non è “accuratezza analitica”; l’accuratezza diagnostica è definita come la capacità di identificare correttamente i risultati Veri positivi e Veri negativi in una popolazione di animali): entrambi identificano similmente i pazienti sieropositivi e sieronegativi, e spesso danno risultati correlabili tra loro.
C’è però una differenza importante: l’ELISA viene misurato da uno strumento ed ha in generale un’imprecisione molto bassa (quindi è molto ripetibile, se misurato più volte sullo stesso campione). L’IFI viene letto da un occhio umano, utilizzando dei supporti che non sono standardizzati in maniera infallibile, pertanto è una metodica meno ripetibile. Lo stesso operatore potrebbe infatti leggere dei titoli leggermente diversi da uno stesso siero, anche se li ha processati insieme, li ha letti nello stesso microscopio, nelle stesse condizioni ambientali, ecc. Questo è il motivo per cui si consiglia sempre, prima di considerare una variazione di un titolo IFI come “clinicamente significativa” (in meglio o in peggio, rispetto ad una prima misurazione), dei cambiamenti di almeno 4 multipli: ad es. un titolo inizialmente 1:160 è da considerarsi non molto diverso da uno di 1:320, mentre può essere considerato davvero aumentato se diventa successivamente 1:640; ovviamente vale il discorso contrario per titoli in diminuzione in caso di pazienti in remissione/terapia.
Walter Bertazzolo, Med. Vet. EBVS European Specialist in Veterinary Clinical Pathology (Dipl. ECVCP); Direttore Scientifico di MYLAV.
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