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MICROBIOLOGIA

Come effettuare un corretto campionamento per la ricerca di dermatofiti

L’esame colturale per la ricerca di dermatofiti si esegue per confermare l’ipotesi diagnostica di dermatofitosi e per ottenere la tipizzazione del dermatofita. La tipizzazione del dermatofita permette di ipotizzare l’origine dell’infezione: in caso di isolamento di Microsporum canis la fonte è rappresentata molto probabilmente da un gatto, di Microsporum gypseum dal terreno mentre di una specie di Trichophyton mentagrophytes complex da un roditore selvatico.

La tipizzazione ci permette inoltre di valutare il rischio di trasmissione ad uomo o animali del dermatofita, che è molto elevato nelle infezioni da Microsporum canis, mentre è quasi nullo in quelle sostenute da Microsporum gypseum.

Per poter eseguire un corretto esame colturale per dermatofiti, è necessario rispettare alcuni passaggi che includono: la scelta dei peli, la metodica di campionamento e il corretto invio del materiale al laboratorio. Vediamoli nel dettaglio.

1) Scelta dei peli da campionare: la prima scelta è rappresentata da peli positivi alla lampada di Wood, che è una fonte luminosa che presenta la caratteristica di emettere radiazioni ultraviolette ad onda lunga comprese tra i 320 ed i 400 nm attraverso un filtro di nichel o di cobalto. I peli infestati da Microsporum canis emettono una caratteristica fluorescenza color verde-mela dovuta alla produzione di un metabolita del triptofano, la pteridina, prodotto solo da questo dermatofita (vedi foto 1). 

Foto 1: fluorescenza positiva dei peli in un gatto con dermatofitosi da M. canis.

Sia Microsporum gypseum che Trichophyton mentagrophytes complex non generano fluorescenza, per cui un risultato negativo con questo test non permette di escludere una dermatofitosi. In assenza di positività alla lampada di Wood, è sempre consigliabile, qualora presenti, campionare i peli o i loro frammenti al centro o all’interno della lesione alopecica (vedi foto 2).

Foto 2: Alopecia, eritema e scaglie sul margine superiore della palpebra in un gatto con dermatofitosi

 
I dermatofiti infatti determinano la rottura del pelo per cui i peli fratturati, riconoscibili in quanto più corti o, se fratturati nel punto di emergenza dall’ostio follicolare come piccoli puntini neri, saranno probabilmente più diagnostici rispetto a quelli localizzati alla periferia della lesione (foto 3).
Questi ultimi vanno prelevati solo se la lesione sospetta è completamente alopecica.

2) Metodica di campionamento: il prelievo va eseguito cercando di rimuovere il pelo dal follicolo pilifero, rispettando la direzione di crescita del fusto; questo accorgimento è essenziale per ridurre la possibilità di fratturare il fusto, lasciando nel lume follicolare la maggior parte del pelo infetto. La raccolta può essere eseguita con l’ausilio di pinze tipo mosquito, sulle cui branche sono stati applicati due piccoli tubicini di gomma per evitare traumatismi al pelo, oppure direttamente con le dita indossando dei guanti. In presenza di peli molto lunghi è indicato tagliare con un paio di forbici la punta del pelo. Il prelievo di piccolissimi frammenti di pelo che emergono dall’ostio del follicolo in lesioni alopeciche può essere eseguito mediante raschiato cutaneo superficiale utilizzando una lama di bisturi sterile rimuovendo delicatamente il materiale presente sulla superficie cutanea.

Foto 3: alopecia in un cane con dermatofitosi. Si noti la presenza di frammenti di pelo infetti e fratturati riconoscibili come puntini neri.

3) Invio materiale al laboratorio: i peli vanno inseriti in una busta di carta da lettera per permettere all’operatore di raccoglierli con facilità per la semina in coltura. Va evitato il materiale in plastica, in quanto rende difficile la raccolta dei peli che tendono ad aderire alla superficie di plastica del contenitore. Non è necessario inviare grandi quantitativi di pelo: meglio pochi peli ben selezionati seguendo le norme precedentemente descritte.

Federico Leone, consulente di Dermatologia MYLAV

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