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Peritonite infettiva felina: le risposte dell'esperto alle domande più comuni

Cari colleghi, la FIP è senz'altro una delle patologie feline più comuni, intriganti e difficili da gestire, a causa delle numerose sfaccettature cliniche e della difficoltà diagnostica. Abbiamo chiesto al nostro esperto di settore, il Prof. Nicola Decaro, di rispondere ad alcune delle domande che più frequentemente ci vengono poste da voi colleghi:

1) Gli esami ematobiochimici di base sono ancora utili per emettere una diagnosi di sospetto? E’ cambiato qualcosa negli ultimi anni?

In corso di FIP si osservano alcune alterazioni del quadro ematobiochimico, che non sono chiaramente indicative della malattia, ma sono utili per emettere una diagnosi di sospetto o, per lo meno, per considerare questa patologia in sede di diagnosi differenziale. L’80% dei gatti con FIP mostra una lieve anemia, mentre, per quanto riguarda i globuli bianchi, possono essere presenti quadri di leucopenia (numero di leucociti < 2 × 109/L) oppure di leucocitosi, con linfopenia e neutrofilia. Alcuni soggetti possono presentare un lieve aumento degli enzimi epatici e, soprattutto, della bilirubinemia, mentre il grave quadro infiammatorio porta all’aumento notevole delle proteine di fase acuta, quali la sieroamiloide A (SAA). Un’altra proteina che in corso di FIP registra un considerevole aumento è la glicoproteina acida alfa1, ma attualmente non esistono in commercio, almeno in Italia, test per la routinaria determinazione di questa proteina. Tuttavia, l’elemento che maggiormente può fornire un’indicazione diagnostica è rappresentato dal protidogramma, il quale è quasi sempre caratterizzato da ipergammaglobulinemia (89% dei casi), spesso accompagnato da ipoalbuminemia (64,5%) e marcata alterazione del rapporto albumine/globuline (<0,8 nell’84,7%).

2) La sierologia è davvero così inutile? Possiamo comunque trarre qualche vantaggio dalla titolazione anticorpale?

Dal punto di vista antigenico e quindi immunologico, il coronavirus responsabile delle forme enteriche (FECV) e quello associato alla comparsa della peritonite infettiva felina (FIPV) sono del tutto indistinguibili, motivo per il quale non esiste un test sierologico in grado di ricercare specificatamente gli anticorpi per FIPV. Infatti, la presenza nel siero di anticorpi per coronavirus felino può essere anche dovuta ad un’infezione enterica, spesso pregressa, che non ha alcuna implicazione per lo stato di salute dell’animale. La ricerca degli anticorpi nel siero può, tuttavia, avere un senso se associata ad una titolazione degli stessi, in quanto FIPV, causando un’infezione sistemica, determina una iperproduzione di anticorpi (responsabile della stessa ipergammaglobulinemia osservabile nel protidogramma) rispetto ad una banale infezione sostenuta da FECV, che resta confinata al tratto gastroenterico. Titoli anticorpali superiori a 1:800/1:1600 sono altamente indicativi di FIP, ma vanno considerati sempre con cautela. In un’epoca in cui non esisteva la biologia molecolare, per cui la sierologia era comunemente utilizzata per la diagnosi di FIP, Niels Pedersen, uno dei massimi esperti mondiali della patologia, soleva dire: “Muoiono più gatti a causa dei test diagnostici che della malattia vera e propria”, con ciò intendendo che la sbagliata interpretazione della sierologia porta alla inevitabile eutanasia dei gatti a causa dell’esito invariabilmente fatale della FIP.

3) È utile la valutazione sierologica su versamento in caso di sospetta FIP? Quale la sensibilità e la specificità di questa tecnica diagnostica applicata su questa matrice?

Come per la sierologia, la presenza di anticorpi per coronavirus felino nel versamento pleurico o peritoneale, non esprime una diagnosi di certezza per FIP. Tuttavia, il rilevo di elevati titoli anticorpali (>1:800/1:1600) nei versamenti cavitari è da considerarsi altamente indicativo di FIP. Infatti, i versamenti in cavità toracica, pleurica e addominale si caratterizzano come essudati (contenuto proteico superiore a 35 g/L) e gran parte del contenuto proteico è costituito proprio da gammaglobuline (gli anticorpi). Anche in questo caso, tuttavia, i risultati della titolazione anticorpale devono essere accuratamente interpretati alla luce della sintomatologia clinica e degli esami ematobiochimici, in particolare del protidogramma. Inoltre, sono frequenti anche i falsi negativi, cioè campioni di versamento prelavati da gatti con FIP accertata, ma con bassi titoli anticorpali per coronavirus o addirittura con anticorpi totalmente assenti. Questa situazione, che è osservabile fino al 10% dei gatti affetti da FIP, è stata attribuita alla formazione di immunocomplessi (complessi antigene-anticorpo) a seguito del sequestro degli anticorpi da parte del virus presente nei versamenti. Pertanto, la ricerca degli anticorpi per coronavirus per la diagnosi di FIP è caratterizzata in generale da basse sensibilità e specificità, ma quest’ultima migliora in maniera significativa se fissiamo come cut-off un titolo anticorpale >1:800. Un ulteriore limite è rappresentato dal fatto che questa metodica non può essere utilizzata in corso di FIP secca o non effusiva, a causa dell’assenza di versamenti cavitari.

4) Quali PCR possono essere impiegate in corso di sospetta FIP e su quali matrici? Quale la PCR più indicata per cercare di ottenere una diagnosi precisa?

Nonostante negli ultimi decenni la biologia molecolare abbia dato un enorme impulso alla diagnosi della maggior parte delle malattie infettive dell’uomo e degli animali, non esiste, allo stato attuale, un test molecolare in grado di discriminare tra virus enterico (FECV) e peritonitico (FIPV) con assoluta certezza. Solo ultimamente sono stati identificati, nel genoma di FIPV, alcuni marker genetici (mutazioni puntiformi) che potrebbero essere sfruttati in futuro per la messa a punto di test PCR maggiormente affidabili. Al momento, pertanto, la diagnosi molecolare di FIP fa riferimento esclusivamente alla diversa distribuzione che i due virus, FECV e FIPV, hanno nei diversi tessuti: FECV resta, in genere, confinato alla mucosa intestinale, mentre FIPV diffonde in tutto l’organismo all’interno dei monociti/macrofagi. Pertanto, la presenza dell’RNA del coronavirus felino negli organi interni (post-mortem) e nei versamenti cavitari o nei prelievi bioptici (intra-vitam) può essere considerata come altamente indicativa di FIP, soprattutto se, anziché una PCR tradizionale, si utilizza la real-time PCR, la quale, essendo un test anche quantitativo, fornisce una stima del titolo virale presente nel campione. Assolutamente da evitare è la ricerca dell’RNA virale nel sangue, sia perché la viremia in corso di FIP è incostante (rischio di falsi negativi), sia perché anche il virus enterico può causare una viremia transitoria (rischio di falsi positivi).

5) Ha senso la PCR su versamento in corso di FIP effusiva? Se sì, quale PCR?

La PCR su versamento è molto utilizzata oggi per la diagnosi di FIP effusiva, poiché la matrice è facilmente prelevabile ed il test è ormai disponibile in molti laboratori. La real-time PCR possiede performance superiori rispetto alla PCR tradizionale, perché è più sensibile e fornisce anche una titolazione dell’RNA virale presente nelle effusioni. Anche questa metodica, tuttavia, può presentare problemi di specificità e sensibilità, legati alla possibile (ma rara) presenza dell’RNA di FECV per diffusione passiva dal sangue durante la fugace fase viremica (rischio di falsi positivi) ed alla presenza nella matrice di sostanze che inibiscono la reazione di PCR (rischio di falsi negativi). Se si ha a disposizione un campione di versamento, le maggiori chance per avere una diagnosi di FIP si ottengono combinando la titolazione degli anticorpi mediante test sierologico e la ricerca dell’RNA virale mediante PCR o real-time PCR.

6) Potrebbe aver senso l’immunocitochimica sui versamenti? Quali i pro ed i contro?

L’immunocitochimica sui versamenti è considerata un test di elezione per la diagnosi di FIP, in quanto tale metodica, grazie all’utilizzo di anticorpi marcati, mette in evidenza la presenza degli antigeni virali all’interno dei macrofagi infetti, escludendo pertanto un eventuale (anche se raro) trasporto passivo del virus enterico dal sangue, che potrebbe essere rilevato in PCR. La specificità del test è quindi molto elevata, ma si possono verificare falsi negativi (problemi di sensibilità) dovuti alla presenza di un basso numero di cellule nell’effusione (effusioni paucicellulari) o da una bassa qualità del campione analizzato (es. cellule non conservate nel campione).

7) Quali accorgimenti dovrebbero essere messi in atto prima di introdurre un nuovo gatto in un ambiente domestico?

La FIP non è una malattia direttamente contagiosa: FIPV non si trasmette dai gatti malati a quelli sani, probabilmente perché, una volta che il virus enterico si è trasformato in virus altamente patogeno, quest’ultimo non replica o, al massimo, replica a bassissimo titolo nella mucosa intestinale per cui l’escrezione fecale è nulla o quasi. A circolare tra i gatti è FECV che può essere responsabile di infezioni persistenti e ricorrenti, le quali sono alla base dell’insorgenza di ceppi FIPV. Pertanto, per evitare la comparsa della FIP bisognerebbe introdurre in ambiente domestico solo gatti negativi per coronavirus (FECV) nelle feci. L’obiettivo finale dovrebbe essere la costituzione di colonie feline coronavirus free. Tale situazione non è però facilmente realizzabile, considerata l’elevata circolazione del virus nella popolazione felina, legata alla frequenza di infezioni persistenti e ricorrenti.

8) Ha senso ed è utile la PCR per coronavirus sulle feci?

La PCR per coronavirus sulle feci dei gatti non deve essere utilizzata per la diagnosi di FIP sia perché non esistono test in grado di differenziare FECV da FIPV sia perché l’escrezione di FIPV nelle feci è incostante e comunque a titoli molto bassi che potrebbero non essere rilevabili neppure in PCR. La PCR sulle feci ha senso solo se utilizzata per accertare la negatività per coronavirus di gatti che devono essere introdotti in ambiente indenne. Un altro impiego utile della PCR e, soprattutto, della real-time PCR si realizza nell’attuazione di piani di risanamento delle colonie feline per FECV, i quali consistono nell’identificazione degli high shedders, cioè dei soggetti che eliminano elevate quantità di virus mediante le feci, perpetuando in tal modo la persistenza dell’infezione nella colonia. Tali soggetti dovrebbero essere allontanati dagli allevamenti e dalle colonie mediante affidamento in adozione. Come già detto, però, la creazione di colonie feline coronavirus free è abbastanza complicata perché, a causa dell’escrezione intermittente del virus, alcuni soggetti infetti potrebbero risultare negativi ad uno o più test PCR consecutivi.

9) Alla fine, la diagnosi definitiva è ancora istopatologica ed immunoistochimica?

Nonostante i progressi della biologia molecolare ed il recente sviluppo di tecniche diagnostiche innovative per la possibile discriminazione tra FIPV e FECV, la diagnosi di FIP, specie della forma secca, presenta ancora punti di debolezza. Ancora oggi, i test gold standard per questa patologia sono rappresentati dagli esami istopatologici ed immunoistochimichi, che devono essere effettuati su prelievi bioptici (intra-vitam) o su frammenti tissutali (post-mortem). Questi esami permettono di apprezzare il grave quadro istopatologico associato a FIP, con presenza di infiammazione fibrinosa e lesioni di tipo piogranulomatoso negli organi interni (vedi foto in alto, reni con piogranulomi multipli). Con l’immunoistochimica, è infine possibile accertare la presenza degli antigeni virali all’interno dei macrofagi tissutali.

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