TOXOPLASMOSI: PER SFATARE I FALSI MITI DOBBIAMO CONOSCERLA BENE
Quante volte abbiamo sentito in TV o nei vari altri media, sedicenti esperti pontificare sulla toxoplasmosi, spesso incorrendo in gaffe biologiche e mediche imbarazzanti, additando cani e gatti quali pericolose fonte di infezione per l'uomo.
Con questo blog, preparato con la collaborazione di Luigi Venco (Board-Certified al College Europeo di Parassitologia Veterinaria) e di un medico umano esperto in zoonosi, la Dr.ssa Francesca Tamarozzi, forniamo un documento esaustivo su questa malattia infettiva, di cui tanto sentiamo spesso parlare, non raramente a sproposito.
Noi Veterinari, se vogliamo farci portavoce delle reali conoscenze scientifiche sulla toxoplasmosi, dobbiamo conoscerla in maniera approfondita sia da un punto di vista biologico, che medico e zoonosico, e questo è lo scopo del presente blog, che può essere un valido ausilio ogni volta che un proprietario ci rivolge domande scottanti sull'argomento.
IL PARASSITA
Ciclo biologico e modalità di infezione
Toxoplasma gondii è un protozoo endocellulare a distribuzione ubiquitaria, responsabile negli animali a sangue caldo, uomo compreso, della toxoplasmosi, una delle più importanti zoonosi, per i rilevanti problemi di sanità pubblica, in particolare per le donne gravide e i soggetti immunodepressi.
Il ciclo biologico di T. gondii coinvolge diverse specie animali a sangue caldo e prevede una fase intestinale esclusivamente nell’ospite definitivo (gatto e altri felidi), e una extra-intestinale, sia nell’ ospite definitivo sia negli ospiti intermedi (tutti gli animali a sangue caldo, uomo compreso). Sono 3 gli stadi biologici del parassita, e sono tutti infettanti.
- Sporozoiti: si ritrovano all’interno di oocisti sporulate (diametro di circa 10-12 μm) in ambiente esterno dopo escrezione con le feci del gatto e responsabili dell’infezione contratta per via orizzontale tramite acqua o alimenti contaminati.
- Tachizoiti: stadio biologico a forma di semiluna dalle dimensioni di 2-4 x 4-8 μm, che si moltiplica rapidamente negli ospiti intermedi durante la fase acuta dell’infezione all’interno di vacuoli endocellulari in una molteplicità di cellule ospiti, invadendo vari organi e tessuti. I tachizoiti causano infezioni verticali transplacentari e, in alcuni casi, infezioni orizzontali.
- Bradizoiti: morfologicamente simili ai tachizoiti ma più piccoli, si replicano lentamente in cisti tessutali (cisti terminali) dal diametro di circa 30-100 μm, presenti all’interno degli ospiti intermedi durante la fase cronica dell’infezione.
I bradizoiti, garantiscono la sopravvivenza del parassita nell’ospite intermedio, sono una fonte importante di infezione orizzontale tramite ingestione di carni [1].
La fase intestinale di T. gondii è simile a quella di altri coccidi e come già sottolineato, avviene solo nel gatto e nei felidi (non nel cane o altri carnivori).
Il gatto si infetta ingerendo le oocisti mature (sporulate) presenti in ambiente o tachizoiti e bradizoiti contenuti in organi e tessuti di animali infetti, ad esempio piccoli roditori, più raramente uccelli e alimentandosi con carni crude contenenti cisti o non sufficientemente cotte offerte dal proprietario.
Dalle oocisti sporulate o dalle cisti terminali si liberano gli sporozoiti o i bradizoiti, che invadono gli enterociti dell’intestino tenue. Ogni sporozoita penetra in un enterocita iniziando la fase (asessuata) del ciclo che prevede la formazione di uno schizonte all’interno del quale si formano numerose merozoiti.
L’accrescimento dello schizonte porta alla lisi della cellula intestinale con liberazione di merozoiti che invadono altre cellule. Dopo il susseguirsi di varie fasi asessuate, alcune merozoiti si differenziano in microgameti e macrogameti che si fondono (fase sessuata) formando uno zigote che origina l’oocisti la quale, immatura e non infettante, viene eliminata in ambiente esterno con le feci.
In presenza di condizioni ambientali idonee, in un periodo di tempo variabile, comunque mai inferiore alle 24 ore, l’oocisti diventa infettante con la formazione al suo interno di 2 sporocisti contenenti ognuna 4 sporozoiti. La durata della sporulazione delle oocisti è influenzata soprattutto dalla temperatura. L’oocisti diventa infettante in 2-3 giorni a 24 °C mentre a 11 °C ci impiega 2-3 settimane. La maturazione non avviene al di sotto di 4 °C e al di sopra di 37 °C [1].
Il gatto, trascorso il periodo di prepatenza (da 3 a 45 giorni in relazione alle modalità di infezione), elimina le oocisti per un periodo di tempo molto limitato, non superiore alle 2 settimane ed un sola volta nell’arco della sua vita. È rarissimo che un gatto che abbia superato la toxoplasmosi elimini nuovamente le oocisti del parassita.
Ciò è stato osservato avvenire, in condizioni sperimentali, a seguito di reinfezioni causate da genotipi di T. gondii (genotipi sud Americani) differenti rispetto a quelli coinvolti nella prima infezione o per una riattivazione della prima infezione in gatti fortemente immunodepressi [2, 3], ma la frequenza con cui questo avvenga realmente in natura non è nota.
La durata del periodo di eliminazione delle oocisti è legata anche alle modalità di infezione, ed è maggiore se il gatto si infetta ingerendo oocisti mature (circa 2 settimane) e tende a diminuire quando l’infezione si realizza tramite l’ingestione di tachizoiti o bradizoiti con il consumo di carni (3-10 giorni) [4, 5].
Nonostante il breve periodo di eliminazione, la quantità di oocisti emessa con le feci e può raggiungere valori di alcuni milioni al giorno con conseguente forte inquinamento ambientale. Le oocisti infettanti sono molto resistenti e possono mantenersi vitali per oltre un anno anche in condizioni climatico-ambientali sfavorevoli e sono resistenti all’azione dei più comuni disinfettanti (iodio, cloro o perossido di idrogeno).
Nella fase extra-intestinale del ciclo biologico, che avviene in qualsiasi animale a sangue caldo, gli elementi infettanti sono ingeriti dall’ospite recettivo e dopo aver superato la barriera intestinale, si diffondono a tutti gli organi e tessuti dando luogo alla fase acuta dell’infezione, T. gondii causa la formazione di pseudocisti in cellule parenchimali e cellule del sistema reticoloendoteliale replete di tachizoiti in rapida moltiplicazione.
L’ingestione di tachizoiti eliminati con i secreti (ad esempio latte) ed escreti durante la fase acuta rappresenta la modalità di infezione meno frequente perché essi sono molto labili, riescono a superare difficilmente la barriera gastrica e, venendo rapidamente distrutti già a 50 °C, non resistono alla pasteurizzazione.
Nei soggetti con sistema immunitario competente, la fase acuta dura circa 10-14 giorni, per trasformarsi in fase cronica con formazione di bradizoiti che si moltiplicano molto lentamente all’interno di cisti terminali localizzate prevalentemente a livello muscolare, nell’occhio e nel sistema nervoso centrale [1].
LA MALATTIA
Quadri clinici
Il gatto e il cane si infettano usualmente con l’ingestione di tessuti di ospiti intermedi, soprattutto roditori e volatili, che albergano le cisti terminali con i bradizoiti nel tessuto muscolare con carni poco cotte o crude (es. con diete BARF).
Nel gatto la parassitosi è spesso asintomatica, come quasi sempre accade ai reservoir naturali dei parassiti e le forme cliniche nei soggetti immunocompetenti sono molto rare.
La gravità dei segni clinici, quando presenti, dipende dal grado e dalla localizzazione del parassita, dalla modalità di infezione, dalla risposta immunitaria e dai genotipi di T. gondii coinvolti, che hanno un potenziale patogeno variabile e diverse affinità per specifici tessuti [6].
I soggetti molto giovani o gli animali immunodepressi possono presentare, durante la fase intestinale, diarrea, come conseguenza della disseminazione del parassita, mentre durante la fase acuta extra-intestinale si possono talvolta osservare quadri clinici gravi causati dalla replicazione del parassita a livello epatico, polmonare, nervoso e, tipicamente, del pancreas [6,7].
I segni clinici includono febbre, depressione, anoressia, dispnea, uveite e corioretinite. La forma acuta è usualmente di rilevanza clinica nei gatti adulti fortemente immunodepressi (soggetti sottoposti a terapie prolungate con ciclosporina, con infezioni concomitanti da FIV, FeLV, FIP) e può verificarsi a seguito di una prima infezione o, molto più raramente, della riattivazione di un’infezione cronica [6-8].
La fase cronica dell’infezione è in genere asintomatica, quantunque siano descritte associazioni con uveite, febbre, iperestesia, miocarditi con aritmie, perdita di peso, anoressia, convulsioni e atassia [6, 9].
L’infezione transplacentare nel gatto può causare morte dei feti e aborto, nascita di gattini disvitali o con gravi segni neurologici. In questo casto caso è possibile che i gattini eliminino le oocisti già alla nascita [2]. I gattini infettati per via verticale possono nascere morti o morire prima dello svezzamento a seguito del coinvolgimento del sistema nervoso centrale e/o a malattia polmonare o epatica [6].
Nel cane (che, ricordiamo, non elimina oocisti con le feci) quadri clinici evidenti si osservano soprattutto negli animali di età inferiore all’anno o in presenza di patologie concomitanti come il cimurro [5].
Nella fase acuta il parassita si diffonde a tutto l’organismo localizzandosi in vari organi, in particolare nei polmoni, nel fegato, nel sistema nervoso centrale e nel tessuto muscolare, e la sintomatologia varia in funzione della localizzazione del parassita. Solitamente il quadro clinico è neurologico e caratterizzato dalla presenza di tremori, atassia, convulsioni, paresi e paralisi. Meno frequenti sono i segni oculari come retinite, uveite e neurite ottica, respiratori (dispnea e tosse), epatici o muscolari (miositi e mialgia) [5]. La trasmissione verticale della toxoplasmosi è stata descritta anche nel cane, sebbene raramente, come causa di aborto o morte dei cuccioli [5].
Diagnosi
È impossibile, sia nel gatto sia nel cane, formulare una diagnosi di certezza di toxoplasmosi sulla base di quadri clinici, esami ematochimici e diagnostica per immagini. Nonostante sia asintomatica nella larghissima maggior parte degli animali, la toxoplasmosi può essere considerata nel diagnostico differenziale in presenza di un quadro clinico compatibile, soprattutto nei soggetti giovani.
I rilievi ematochimici sono sempre aspecifici, incostanti e variabili. Sia nel gatto sia nel cane è possibile rilevare anemia non rigenerativa, leucocitosi, linfocitosi, monocitosi, eosinofilia, neutropenia, ipoproteinemia, ipoalbuminemia e, in caso di interessamento del fegato, aumento della concentrazione ematica di bilirubina, ALT e AST [5, 6].
Nel gatto con coinvolgimento del SNC, è possibile rilevare aumento aspecifico della concentrazione di proteine nel liquor con incremento della conta cellulare e un quadro infiammatorio in cui predominano cellule mononucleate. E' molto raro rilevare agenti eziologici all'esame del liquor, sia con citologia che con metodi più sensibili come la PCR.
I rilievi radiografici nei gatti e cani dispnoici si riflettono in alterazioni significative del parenchima polmonare con pattern alveolare e/o interstiziale diffuso e sono correlati all’entità delle lesioni tessutali [5]. Nel gatto è stato descritto raramente anche versamento pleurico [8]. In entrambe le specie all’ecografia addominale possono essere messi in evidenza linfoadenomegalia e quadri compatibili con pancreatite e/o epatite [5, 6].
La valutazione della presenza di oocisti nel gatto prevede l’esame delle feci tramite la flottazione con soluzione satura di solfato di zinco o con soluzione di Sheather ma raramente dà esito positivo. Il gatto elimina le oocisti per non più di 2 settimane e queste hanno dimensioni estremamente ridotte (diametro di 10-12 μm) difficili da visualizzare al microscopio ottico e devono essere differenziate dalle oocisti di altri protozoi che possono parassitare il gatto, come Hammondia hammondi, le cui oocisti sono molto simili.
Le oocisti possono invece essere identificate con certezza tramite PCR e, inoltre, il DNA del parassita può essere ricercato anche in altri campioni biologici come liquido cefalorachidiano, BAL, umore acqueo, per evidenziare la presenza del patogeno con elevata specificità nei tessuti che si ritengono coinvolti dall’infezione e quindi confermare una diagnosi di toxoplasmosi clinicamente manifesta [6, 10].
La citologia e l’istologia permettono di identificare i bradizoiti e i tachizoiti nei tessuti, nel liquido cerebrospinale, nell’umore acqueo, nei versamenti toracici e addominali e nel BAL di cani e gatti, ma la sensibilità di queste tecniche è bassa [6].
Esame citologico (FNA di fegato) di un gatto con epatite causata da Toxoplasma: le frecce indicano tre microrganismi a forma di semiluna/banana.
I test sierologici consentono di rilevare la presenza di IgM e IgG tramite ELISA o IFAT [6].
La ricerca e l’identificazione delle classi anticorpali consente di valutare se e quando è avvenuta l’infezione. Sia nel cane sia nel gatto i risultati ottenuti non sono di facile interpretazione da un punto di vista clinico ma possono dare indicazioni relative all’eliminazione delle oocisti da parte dei gatti (Tabella1).
Nel gatto i test sierologici possono anche essere effettuati prima di iniziare una terapia a lungo termine con la ciclosporina (per stimare il rischio di riattivazioni di un’eventuale toxoplasmosi cronica) e per valutarne lo status parassitologico in presenza di una donna gravida sieronegativa.
Nel gatto, nell’iter della diagnosi clinica dell’infezione, la sierologia non consente di formulare una diagnosi di certezza né nella fase intestinale del ciclo né nella fase extra-intestinale perché la presenza delle IgM e delle IgG non è sempre correlabile alla presenza di sintomatologia [6]. Dal punto di vista pratico nel gatto la diagnosi presuntiva di toxoplasmosi va formulata solo in presenza contemporanea:
- di un titolo anticorpale IgM ≥ 1:64 o di un aumento di almeno 4 volte del titolo di IgG dopo 3 settimane dalla prima titolazione
- di titoli sierologici in generale molto elevati
- di segni clinici compatibili con l’infezione, dopo aver escluso altre cause compatibili
- di risposta efficace alla terapia.
Se sono presenti segni neurologici, oculari o respiratori è possibile associare anche la PCR da liquor, umore acqueo o BAL. L’applicazione delle tecniche sierologiche nel cane è simile. In genere, valori alti di IgG e/o sieroconversione sono parametri da tenere in considerazione in un sospetto clinico, da avvalorare con la ricerca dell’agente eziologico.
Terapia
I farmaci efficaci nella terapia sono in grado di interrompere la moltiplicazione di T. gondii ma non sono completamente efficaci per l’eliminazione del protozoo.
La clindamicina (12-12,5 mg/kg per os sid) o, in alternativa, la combinazione di trimetoprim-sulfonamide (15 mg/kg per os sid) sono i farmaci di prima scelta. Poiché i gatti di solito mostrano miglioramento clinico dopo pochi giorni dall’inizio del trattamento, la risposta dovrebbe essere sempre valutata dopo 1 settimana dall’inizio della terapia.
Se la risposta clinica è tangibile, il trattamento deve essere prolungato fino a 4 settimane, mentre se non si osservano miglioramenti è opportuno cambiare la molecola [6]. Il dosaggio della clindamicina può essere aumentato fino a 40 mg/kg die in 2-4 dosi per os per 4-6 settimane. In presenza di uveite è possibile associare la somministrazione topica di cortisonici (colliri) fino a risoluzione del quadro clinico
Tabella 1. Correlazione tra Titoli anticorpali ed eliminazione oocisti nel gatto
Sierologia |
Capacità infettante (eliminazione oocisti) |
Il gatto è positivo IgG. |
Il gatto ha già superato infezione e non elimina più oocisti |
Il gatto è positivo IgG e IGM |
La fase di eliminazione oocisti è terminata |
Il gatto è negativo IgG e positivo IgM |
Il gatto ha probabilmente terminato la fase di eliminazione di oocisti ma è opportuno mantenere alcune norme igieniche ed eventualmente eseguire PCR su feci per ricerca del parassita
|
Il gatto è negativo a IgG e IgM |
Il gatto non è ancora stato infettato, potrebbe infettarsi ed eliminare in seguito oocisti. È quindi opportuno applicare alcune norme igieniche |
La Toxoplasmosi nell'uomo
Si stima che, con ampie variazioni geografiche, in media tra il 25% e il 30% della popolazione mondiale sia stata infettata da T. gondii, che quindi può essere considerato il parassita di maggior successo al mondo [7].
Le sieroprevalenze maggiori si registrano nei paesi del Sud America e dell’Africa Sub-Sahariana, le minori in Nord America, e Sud-est Asia. In Europa, le aree a minor prevalenza sono quelle del Nord Europa, mentre i paesi dell’Europa meridionale e dell’Est sono quelle a maggior prevalenza.
L’Italia può essere considerata un paese a prevalenza media (circa 30% nelle donne in gravidanza [8,9]). In Europa e nelle aree industrializzate in generale si osserva un declino della sieroprevalenza, probabilmente dovuto a una concomitanza di fattori che rientrano nel miglioramento delle condizioni igieniche e socio-economiche e nel cambio delle abitudini alimentari (anche offerte ai gatti domestici) e di vita. Ad esempio in Francia negli anni ’60 la sieroprevalenza nella donne in gravidanza era dell’ 80% e del 44% a inizio degli anni 2000 [8].
Infezione
L’uomo funge da ospite intermedio per T. gondii e si infetta 1) per via orizzontale tramite ingestione di oocisti ambientali, bradizoiti tissutali nelle carni, o, raramente, tachizoiti, oppure 2) per via verticale durante la gravidanza o infine 3) attraverso trapianti/trasfusioni.
La via di infezione alimentare è quella in assoluto più frequente, anche se le percentuali di attribuzione relativa variano in base all’area geografica e conseguenti condizioni e abitudini alimentari. Si stima che l’ingestione di carni (crude o poco cotte, più a rischio le rosse delle bianche) contenenti bradizioiti sia responsabile del 40-60% delle infezioni, il contatto con il suolo/acqua del 6-17%, il consumo di latte non pastorizzato del <5%; fino al 10% dei vegetali a foglia sono stati trovati contaminati da oocisti del parassita [10-12]. In Francia è stato stimato che l’incidenza della prima infezione durante la gravidanza sia di 2 per 1000 donne sieronegative, mentre di infezione congenita di 3 per 10.000 nati vivi [13], e questi numeri sono simili a quanto riportato in altri paesi d’Europa.
Malattia
L’infezione nell’immunocompetente è solitamente asintomatica o paucisintomatica. Talvolta può presentarsi una sindrome simil-mononucleosica (febbre, sintomi generali, linfoadenomegalia diffusa) e raramente svilupparsi una corioretinite. Forme più severe di infezione nell’adulto immunocompetente sono state riportate soprattutto dal Sud America ed attribuite ad infezione con genotipi “atipici” del parassita, a maggior virulenza [7]. A seguito dell’infezione il sistema immunitario la controlla, e questa, così come l’immunità protettiva che ne deriva, si ritiene permangano per tutta la vita dell’ospite [14].
Le categorie di persone per cui l’infezione da T. gondii risulta clinicamente più rilevante sono le donne in gravidanza (in particolare per la prima infezione) e le persone immunocompromesse (sia prima infezione che riattivazione di una infezione acquisita in passato).
Di seguito sono riportate alcune informazioni generali riguardanti la clinica della toxoplasmosi in questi gruppi di perone: queste informazioni non sono esaustive ed in nessun modo sostituiscono la visita e presa in carico da parte di un medico specialista umano.
In gravidanza
Nella donna immunocompetente, in Europa, l’infezione da T. gondii generalmente costituisce un problema in gravidanza solo nel caso della prima infezione, vale a dire nel caso in cui una donna sieronegativa per toxoplasmosi acquisisca la prima infezione della sua vita proprio durante una gravidanza [13].
Durante la fase di parassitemia, i tachizoiti possono attraversare la placenta e infettare il feto, probabilità questa che aumenta al progredire dell’epoca gestazionale: <10% nel I trimestre, 30% nel II trimestre, 60-70% nel III trimestre. Dal momento che esiste una latenza di alcune settimane tra l’infezione della madre e il possibile passaggio al feto, anche le primo-infezioni acquisite nel periodo peri-concepimento (1-3 mesi) possono presentare un seppur basso rischio di infezione del feto nel primo trimestre. In maniera opposta al rischio di infezione del feto, il rischio di patologia fetale invece si riduce al progredire dell’epoca gestazionale. In altri termini, più precoce è la gravidanza, meno frequente sarà il passaggio la feto ma questo passaggio potrà provocare più danni (aborto, danni neurologici) e con maggior frequenza (>70%), mentre una infezione acquisita tardivamente in gravidanza passerà più frequentemente al feto ma con meno frequenza (10-15%) e meno gravità delle lesioni. In media l’85% dei neonati vivi con infezione congenita sono del tutto asintomatici; una percentuale di questi potrà presentare manifestazioni cliniche, soprattutto oculari, anche negli anni dopo la nascita. Alla luce di quanto brevemente descritto, la datazione dell’epoca gestazionale in cui è avvenuta la prima infezione è fondamentale, per 1) valutare il rischio di infezione in gravidanza; 2) instaurare i controlli sierologici seriati necessari, al fine di diagnosticare tempestivamente una eventuale infezione in una donna sieronegativa; 3) instaurare una terapia tempestiva ed adeguata all’epoca gestazionale dell’infezione e il monitoraggio dell’eventuale infezione fetale (e successivamente del bambino dopo la nascita). In caso di stato sierologico precedente non noto e scoperta di una positività anticorpale durante la gravidanza, i mezzi diagnostici attualmente a disposizione anche nei centri di riferimento consentono la datazione accurata dell’infezione solo se questa è avvenuta nelle settimane precedenti. Inoltre la terapia durante la gravidanza è efficace soprattutto se iniziata entro 3 settimane dall’infezione. Queste considerazioni, congiuntamente alle tempistiche attualmente vigenti in Italia per l’interruzione volontaria di gravidanza, fanno sì che la prima valutazione dello stato sierologico della madre debba essere eseguita se possibile prima dell’instaurarsi della gravidanza e comunque precocemente nel I trimestre di gestazione (e proseguito, solo se necessario, durante la gravidanza). Altre accortezze importanti, al fini del processo diagnostico, sono quelle di effettuare gli esami di screening sempre nello stesso centro (i risultati infatti non sono sempre comparabili se eseguiti in centri diversi) e far conservare i sieri dei prelievi, congelati, in modo che possano essere resi disponibili per analisi di secondo livello in centri di riferimento in caso di necessità di approfondimento.
Nelle persone immunocompromesse
Il secondo gruppo di persone per cui la toxoplasmosi ha una rilevanza clinica importante sono i pazienti immunocompromessi, sia per riattivazione di una infezione latente che per acquisizione di una primo-infezione durante lo stato di immunocompromissione. Sebbene le maggiori conoscenze siano disponibili per i pazienti con HIV e sottoposti a trapianto, sembra opportuno estendere considerazioni simili anche ai pazienti sottoposti a immunosoppressione farmacologica per altri motivi.
L’encefalite da T. gondii è la manifestazione più frequente di massa cerebrale nel paziente con HIV, e costituisce uno dei criteri di definizione della condizione di AIDS. E’ causata nella stragrande maggioranza dei casi dalla riattivazione di una infezione precedente latente, in particolare in pazienti con bassi linfociti CD4+ non sottoposti a profilassi con tripetoprim-sulfametossazolo [15]. Se la terapia (sia specifica che per HIV) viene iniziata tempestivamente la prognosi è generalmente buona.
Nei pazienti immunodepressi a seguito di un trapianto, le manifestazioni cliniche sono meno specifiche e comprendono febbre, epatosplenomegalia, linfoadenomegalia, miocardite, polmonite e segni neurologici [16]. Il rischio maggiore si osserva nei riceventi sieronegativi di organo solido, in particolare cuore seguito da fegato e rene, da donatore positivo e, viceversa, nei pazienti riceventi sieropositivi di midollo osseo da donatore negativo [17]. Il rischio maggiore si osserva nei primi 6 mesi dopo il trapianto. La profilassi può essere raccomandata anche a vita. La mortalità è elevata anche in caso di terapia tempestiva.
Rischi e norme igieniche
L’osservanza di alcune norme igieniche e alimentari è estremamente efficace [18] per prevenire l’infezione per via orale dovuta all’ingestione di oocisti mature ambientali (suolo e alimenti/acqua contaminati) o bradizoiti/tachizioiti nei tessuti di animali a sangue caldo non sottoposti ad adeguati trattamenti di inattivazione [19]. Le oocisti devono essere mature per essere infettanti, e questo avviene in tempi variabili, ma SEMPRE superiori alle 24 ore. Ne deriva che il contatto diretto con il gatto, che peraltro elimina oocisti solo per un breve periodo della sua vita, non è un fattore di rischio [11].
Le oocisti sporulate, al contrario sono molto resistenti sia alle temperature sia ai disinfettanti (inclusi candeggina e disinfettanti a base di cloro), perciò sia il lavaggio delle mani, sia della verdura, riduce il rischio di infezione esclusivamente per l’effetto meccanico di rimozione delle oocisti (non per inattivazione chimica da parte di disinfettanti che sono sconsigliati nel trattamento delle verdure crude destinate all’alimentazione).
Oltre alle fonti di infezione legate all’ingestione accidentale dal suolo di oocisti sporulate (attraverso il contatto mani-bocca o l’ingestione di vegetali o acqua o molluschi crudi), l’ingestione di carni crude o poco cotte (< 65°C a cuore), insaccati e altri salumi conservati con metodi diversi dalla cottura, sono la fonte di infezione principale per l'uomo. Le carni di suino e ovicaprini sono più a rischio rispetto a quelle di bovino e pollame. La pastorizzazione inattiva i tachizoiti eventualmente presenti nel latte o nelle uova, così come il congelamento a -20°C per 2 giorni inattiva le cisti tissutali
Di seguito una lista di comportamenti pratici da osservare per i soggetti a rischio:
- Lavarsi le mani con acqua e sapone prima dei pasti e dopo il contatto con ambiente potenzialmente contaminato (es terra); se possibile usare i guanti per queste attività (es giardinaggio)
- Cuocere a cuore la carne ed evitare di assaggiarla prima della fine della cottura
- Lavare con abbondante acqua corrente la verdura e la frutta che non può essere pelata o cotta
- Evitare di mangiare carni crude anche se sottoposte a trattamenti di stagionatura/salagione/affumicatura
- Evitare il consumo di latte non pastorizzato, uova crude e molluschi crudi
- Fare attenzione alla cross-contaminazione degli alimenti mediante coltelli, taglieri, o le mani stesse
- Lavare con acqua bollente le superfici che possono essere state contaminate (superfici a contatto con alimenti, cassettina del gatto), lavandosi sempre le mani dopo la manipolazione (o usando i guanti)
- Evitare la presenza di eventuali artropodi dall’ambiente (mosche, scarafaggi, ecc.) che possono fungere da vettori meccanici di contaminazione
- Alimentare il gatto con prodotti cotti e/o commerciali
- Evitare l’ingestione di acqua (e ghiaccio prodotto da acqua) potenzialmente contaminata
- Evitare se possibile viaggi fuori Europa o Nord America, dove è più elevata la circolazione del parassita e/o sono presenti varianti atipiche più virulente (es Sud America), ed il consumo di carni importate; in ogni caso attenersi scrupolosamente alle norme igieniche riportate sopra
Dr Luigi Venco Consulente MyLav
DMV, SCPA Dipl EVPC, Specialist™ in Parasitology
Abilitazione a Professore Associato (II Fascia) in Malattie Infettive e Parassitarie degli Animali (07/H3)
Dr Francesca Tamarozzi
DMV, MD, MSc PhD Specialista in microbiologia. Dipl. SIUMB
Dirigente medico a tempo indeterminato con incarico di ricerca
IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria. Negrar (VR)
Dipartimento di Malattie infettive e Tropicali e Microbiologia
WHO Collaborating Centre on Strongyloidosis and other NTDs
Abilitazione a Professore Associato (II Fascia) in Malattie Infettive (06/D4) e in Microbiologia e Microbiologia Clinica (06/A3)
Abilitazione a Professore Associato (II Fascia) in Malattie Infettive e Parassitarie degli Animali (07/H3)
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Commenti (2)
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Buongiorno, tra poco avrei intenzione di avere bambino e avendo a casa un coniglio avrei paura di contrarre la toxoplasmosi, vorrei sapere se i conigli sono soggetti alla toxoplasmosi o posso star tranquilla grazie mille
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